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Il diffondersi della suina costringe le grandi aziende a correre ai ripari per evitare contraccolpi troppo forti. Da un capillare piano informativo su sintomi, modalità di contagio e terapie, all’introduzione di modelli di comportamenti utili a ridurre i rischi. Così anche un’emergenza può diventare una possibilità
Alcuni casi recenti di pandemia, come quello legato al virus A/H1N1, hanno portato l’opinione pubblica a rivolgersi agli esperti per sapere se rischi di questo genere possono essere previsti.
La risposta di solito è la stessa: no, però ci si può preparare ad affrontarli adeguatamente.
Quella pandemica è una delle minacce più antiche con cui l’umanità a dovuto imparare a fare i conti, eppure, fino pochi anni fa, era come se il significato stesso del termine fosse stato rimosso dalle coscienze popolari. E con esso, anche la coscienza di quali rischi possa comportare. Solo ora, perciò, si torna a voler comprendere quale portata abbiano i danni creati da un’epidemia che coinvolge diverse regioni del mondo in breve tempo.
E in questo contesto oltre agli effetti diretti del virus, che possono essere più o meno gravi, è più che opportuno considerare anche quelli che potremmo definire accessori, come ad esempio un veloce ed incontrollato consumo delle risorse necessarie a far fronte all’epidemia, che porta presto alla loro irreperibilità, con tutti i danni che ciò può recare; o anche il rischio che la disinformazione riguardo al pericolo che si deve affrontare porti al panico e alla conseguente messa in atto di comportamenti drastici da parte di persone che finiscono per sacrificare il bene comune a vantaggio del proprio beneficio personale. Negli Stati Uniti e in gran parte del mondo, la maggior parte delle aziende ha già preso, o sta predisponendo, alcune misure utili a fronteggiare i rischi portati dal diffondersi dell’influenza
A, sviluppando piani di intervento, informando la forza lavoro e procurandosi le risorse necessarie ad affrontare l’emergenza. Questi sforzi, però, rappresentano una preparazione adeguata solo a metà.
Il rimanente 50% è dato da un fattore soprattutto: preparare le persone ad osservare un comportamento adeguato. Una pandemia, in fondo, non è altro che è una malattia che può essere trasmessa da una persona ad un’altra e i comportamenti dei singoli hanno perciò un peso notevole e decisivo nel minimizzare o accentuare i rischi di diffusione del contagio. Si stima, ad esempio, che seguendo i normali comportamenti quotidiani ogni persona che contrae l’influenza la trasmetterà ad almeno altri due individui. I casi di contagio all’interno delle navi forniscono da questo punto di vista una fotografia precisa e drammatica di come un virus possa diffondersi in maniera repentina all’interno di una comunità che non è preparata a porre in atto le misure adatte a contenere la minaccia. I piani di prevenzione delle minacce che seguono il cosiddetto approccio “all-hazard” sono troppo generici e non comprendono una lista di condotte da osservare in caso di pandemia. Tanto più che questa assume spesso la forma di un pericolo invisibile; una persona può sentirsi ed apparire in piena in salute, ma in realtà ha già contratto il virus e, a sua insaputa, lo sta diffondendo nel suo ambiente. Un tipo di epidemia come quella legata alla SARS, invece, era in qualche modo meno subdola, perché il contagio avveniva solo in uno stadio nel quale i sintomi erano già evidenti, fatto che limitava la possibilità di diffusione inconsapevole.
Il primo passo per preparare le persone è fornire loro tutte le informazioni disponibili sulla minaccia epidemica e illustrare i vantaggi che possono derivare da un’adeguata condotta. Nel caso di una minaccia pandemica, la gente deve essere messa al corrente di tutti i fatti conosciuti relativi alla malattia, compresi il periodo di incubazione, i sintomi, le modalità di contagio, le terapie disponibili e le misure da adottare per ridurre i sintomi. Una volta apprese queste informazioni, deve essere reso ben chiaro come determinati comportamenti possano ampliare o ridurre sensibilmente il rischio di ammalarsi. Senza un’adeguata informazione e comprensione del pericolo, le persone non saranno propense ad ascoltare e seguire le raccomandazioni loro fornite, persino nel caso di una pandemia conclamata. Il secondo passo è accumulare e fornire tutte le risorse necessarie. Nel caso di una pandemia alle persone verrà richiesto di lavarsi spesso le mani, mantenere una distanza reciproca di almeno un metro, restare a casa nel caso si ammalino, dormire molto, assumere molti fluidi e seguire le raccomandazioni dei medici.
Questi comportamenti richiedono spesso la possibilità di contare su di alcune risorse. Il personale, ad esempio, non può rimanere a casa se ha terminato i giorni di malattia. Chi ha figli, nel caso dovessero contrarre l’influenza, è costretto a rimanere a casa per curarli e deve essere posto nelle condizioni di poterlo fare senza problemi. In definitiva, se in un caso di pandemia mancano le risorse per favorire i comportamenti virtuosi, questi non verranno messi in atto e il rischio di diffusione del virus aumenterà esponenzialmente. Fornire informazioni e risorse però non è sufficiente. Il personale deve imparare a mettere in atto questi comportamenti in modo naturale. Bisogna fare in modo che diventino un’abitudine consolidata. Da questo punto di vista un’attività di training, anche di tipo pratico, può portare molti più vantaggi di quanto si possa credere. Ma, più di tutto, è importante incoraggiare costantemente i comportamenti virtuosi e censurare quelli negativi; se si manca di farlo, il rischio è che coloro che mantengono una condotta adeguata si sentano ben presto isolati e preferiscano quindi adeguarsi alla massa, tornando a quei comportamenti “normali” suscettibili di favorire la diffusione del contagio.
Le aziende presentano in generale delle grandi carenze per ciò che riguarda la preparazione ad affrontare una pandemia. I campanelli di allarme suonati in questi anni hanno però avuto l’effetto positivo di rendere ben chiaro quanto sia necessario correre ai ripari e la maggior parte delle organizzazioni lo sta facendo in maniera adeguata. Le comunità traggono benefici diretti da aziende che sanno fornire un ambiente sano e sicuro ai propri dipendenti, proprio come le aziende beneficiano dall’essere inserite in comunità a loro volta sane e sicure. Le organizzazioni possono ricoprire un ruolo fondamentale in questo processo reciproco, funzionando come una sorta di scuola capace di insegnare i comportamenti più adeguati da tenere in situazioni di emergenza e non solo. Fornire questo tipo di formazione a 360° avrà ricadute estremamente positive sulla comunità, con vantaggi per tutti.
Tratto da:
Pandemic Influenza, Business and Benefits of 360 Degrees of Preparedness
di Sean G. Kaufman