Lo stato dell’open office
Data di pubblicazione: 28 APR 2017
Una ricerca condotta a livello globale traccia il futuro dell’open office: una crescita continua, che investirà ogni livello dell’organizzazione.
L’impiego dell’open office è in crescita a livello mondiale. E l’Europa, per una volta, è d’esempio per gli Stati Uniti. Sono questi due dei maggiori spunti emersi da una recente ricerca* condotta per indagare lo stato dell’open office. Lo studio ha coinvolto un campione di 482 professionisti attivi in diversi settori e distribuiti in tutto il mondo. Gli intervistati, la maggior parte dei quali con ruoli relativi alla gestione dello spazio e dei servizi, lavora in aziende che possono contare complessivamente una forza lavoro di 5,5 milioni di persone.
Quattro le indicazioni principali che scaturiscono dall’analisi delle risposte:
- quasi tutti gli interpellati dichiarano che la propria azienda ha appena completato, o ha in programma, un progetto di organizzazione basato sull’open space;
- molte aziende non mostrano alcuna remora nello spostare i propri top manager dall’ufficio chiuso all’open space comune;
- il 47% indica che la prossima trasformazione dello spazio avverrà entro 18 mesi, percentuale che sale al 58% se si considera un arco temporale di tre anni;
- l’open office è in crescita in tutto il mondo.
È bene prima di tutto notare come l’82% del campione lavori negli Stati Uniti e che l’Europa, al secondo posto per intervistati, rappresenti solo il 7% della popolazione considerata. La fotografia perciò si riferisce soprattutto alla realtà statunitense, ma offre importanti informazioni anche sul resto del mondo e in particolare sul Vecchio Continente.
Primo obiettivo della ricerca era intercettare la tendenza in atto a livello globale. Al campione è stato perciò chiesto di indicare in quale direzione si stesse muovendo l’organizzazione dello spazio nella propria azienda, indicando la situazione attuale e quella futura. I risultati mostrano una riduzione progressiva degli uffici privati (dal 41,2% al 31,3%) e dei cubicoli assegnati (dal 21,9% al 16,7%) e un parallelo incremento degli spazi di lavoro non assegnati (dal 10,4% al 20,8%) e degli spazi assegnati ma in open space (dal 26,5% al 31,2%).
L’incremento dell’open space sta avendo un impatto diretto anche sugli equilibri gerarchici all’intero delle aziende, almeno in termini simbolici. Responsabili e manager si ritrovano sempre più spesso a condividere lo spazio con i team e le persone che coordinano, con benefici per lo spirito di squadra e per la loro stessa leadership. I numeri che testimoniano questo cambio di tendenza forse non sono eclatanti, ma restano comunque significativi: nel caso degli executive gli uffici privati sono destinati a calare di quasi 10 punti percentuali, passando dal 75,5% al 65,9%, mentre lo spazio non assegnato raddoppierà, dal 6,3% al 12,3%. Scendendo lungo la scala gerarchica le tendenze diventano più marcate. Secondo gli intervistati, ad esempio, quasi un terzo dei Senior leader sono destinati a perdere gli uffici chiusi, che passeranno dall’attuale 58,7% al 41,8%. Gli impiegati, infine, vedranno un’impennata dello spazio di lavoro non assegnato (dal 15,4% al 32,5%) accompagnato da un crollo dei cubicoli assegnati (dal 37,5% al 19,7%).
Il movimento verso un nuovo concetto di open space è perciò chiaro, e i motivi che spingono le aziende al cambiamento sono diversi, ma ben a fuoco: miglior sfruttamento della luce naturale, maggior attenzione al benessere dei dipendenti, riduzione dei costi e aumento dello scambio e della comunicazione tra tutti i dipendenti. Sorprendentemente, l’Europa sembra essere ben più avanti rispetto agli Stati Uniti lungo questa strada. Il Vecchio Continente al momento, stando ai dati raccolti, presenta un 71% di aziende che impiegano un nuovo concetto di open space, percentuale destinata a salire all’80% nel prossimo futuro. Gli USA sembrano invece ancora molto legati a modelli tradizionali: soluzioni più avanzate, come per esempio le postazioni non assegnate, sono presenti in una percentuale che oscilla tra il 37% e il 26%, a seconda che si considerino le coste o il sud/midwest. Tali percentuali sono però destinate a subire una forte impennata negli anni a venire.
La ricerca ha infine indagato anche come l’open office sia percepito al momento. Il timore maggiore, indicato da ben un terzo del campione, è quello delle distrazioni di nature acustica, seguito a breve distanza da quella che in qualche modo è l’altra faccia della stessa medaglia: la mancanza di privacy nelle conversazioni. Altro timore diffuso, soprattutto tra chi si è appena trasferito in un open office e tra gli interpellati europei, è quello di venire continuamente interrotti dai colleghi. Una preoccupazione in qualche modo comprensibile, dato che l’abbattimento delle barriere e separazioni rende ognuno immediatamente accessibile dal resto del personale; in fondo, uno dei principali fattori che spinge le organizzazioni ad adottare l’open office è proprio la volontà di aumentare la collaborazione e la comunicazione tra i colleghi. Il fatto che la paura delle continue interruzioni sia così diffusa soprattutto tra chi è da poco in un open office è però significativo. Suggerisce, infatti, che molte delle aziende del campione non abbiano accompagnato l’adozione dell’open office con un’adeguata fase di formazione del personale che includa anche la spiegazione delle regole di “etichetta” da tenere nel nuovo spazio. O, anche, che non sia stato trovato il giusto bilanciamento tra privacy e collaborazione nella creazione dell’open office, elemento fondamentale per la buona riuscita di questo tipo di organizzazione dello spazio.
* The State of the Open Office – Stegmeier Consulting Group