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Oltre a quello di prevenire, tra i compiti del facility management c’è anche quello di affrontare allarmi e pericoli improvvisi. Due security manager raccontano come vengono gestite le situazioni critiche nelle loro aziende. E l’esperienza dei gruppi di volontari addestrati ad intervenire in caso di necessità
L’attività del Facility Management si basa su alcuni concetti fondamentali. Uno dei più importanti può essere espresso in una sola parola: prevenire. Il Facility Manager ideale, in quest’ottica, è quello che non sperimenta mai un malfunzionamento nei sistemi dell’edificio, né un blocco nel ciclo di erogazione dei servizi. La perfezione, però, è solo un concetto teorico. L’interazione tra le persone, l’attività dell’azienda e le strutture che li ospitano è troppo complessa per essere interamente prevista e regolata. Ciò vuol dire che prima o poi qualcosa andrà sicuramente per il verso sbagliato. Il Facility Manager ideale, allora, è quello che ha saputo preparare la propria organizzazione ad affrontare qualunque emergenza e a limitare al massimo i danni anche nelle situazioni più critiche. Per capire come un’azienda può reagire nel migliore dei modi nelle situazioni di massimo pericolo, ci siamo rivolti a Flaminia Pellegrini, Snr Workplace Manager Italy, Iberia, France & Nordics Region di Cisco Systems e a Kevin Fisher, Security Supervisor Italy, Greece & Cyprus per la stessa azienda.
Chi ha la responsabilità per la gestione delle emergenze nella vostra organizzazione?
KF: I servizi di security e safety sono affidati ad un dipartimento dedicato, con un responsabile europeo che coordina le operazioni da Londra. Tutti i programmi sono predisposti a livello continentale ed in piena collaborazione con la casa madre negli Stati Uniti. Logicamente, i piani generali sono poi adattati a seconda delle esigenze di ogni particolare sito. Il mio compito è sovrintendere alle operazioni di safety e security per un’area che comprende l’Italia, la Grecia e Cipro.
FP: Tutte le attività legate alla gestione delle emergenze e della sicurezza vanno a toccare in molti punti anche la mia sfera di attività. Ad esempio, il dipartimento di safety e security predispone i corsi di aggiornamento sulla gestione delle emergenze, ma questi vengono svolti in collaborazione con un fornitore esterno e qui entra in gioco la mia sfera di competenza. Il Facility Manager rappresenta un’interfaccia essenziale per lo svolgimento di ognuna delle attività di sicurezza.
Come è organizzata la gestione delle emergenze dal punto di vista pratico?
FP: Abbiamo diversi documenti che regolano questa attività. I due più importanti sono il Site Management Plan e l’Emergency Action Plan. Il primo illustra tutte le procedure generali legate ad un particolare sito aziendale, come ad esempio il modo in cui va creato il gruppo di volontari incaricato di rispondere alle crisi, quale equipaggiamento dovrà ricevere, la definizione delle singole situazioni d’emergenza, ecc.
KF: Anche l’Emergency Action Plan è specifico per ogni singola sede, ma va più nel dettaglio pratico. Contiene indicazioni minuziose su quali azioni compiere in caso di incendio o di nube tossica o di qualunque altro genere di pericolo dovesse occorrere. Contiene, ad esempio, una lista delle domande che i centralinisti devono fare a chi telefona per segnalare la presenza di una bomba, così da raccogliere dati utili a stabilire se si tratta di una minaccia fondata o meno.
Avete menzionato un gruppo di volontari incaricato di gestire le emergenze. Di cosa si tratta?
KF: Abbiamo predisposto delle squadre, le Emergency Response Team (ERT). Sono formate da dipendenti dell’azienda che partecipano su base strettamente volontaria. Chi decide di far parte di una ERT riceve in dotazione un kit per le emergenze e viene sottoposto ad un training periodico grazie al quale apprende come far fronte a diversi tipi di situazioni critiche. Li prepariamo, in pratica, ad assumere un ruolo di riferimento per gli altri dipendenti nelle emergenze, siano esse mediche o di altro genere. Sono loro, ad esempio, ad adoperarsi affinché l’evacuazione avvenga in maniera ordinata e completa.
FP: Ad ogni piano è ben visibile una lista di tutti gli appartenenti all’ERT presenti in quell’edificio e in quello adiacente. Per ognuno è specificato a quale scrivania trovarli e almeno un recapito telefonico. I nomi di quelli presenti sul piano sono evidenziati e quindi immediatamente riconoscibili. Per renderli più facilmente individuabili, abbiamo anche posto un cartello sopra le loro postazioni di lavoro.
In alcuni uffici, però, il personale opera per lo più fuori sede e di fatto non esistono scrivanie personali. Come avete aggirato questo problema?
FP: I membri ERT hanno una postazione riservata, che utilizzano ogni volta che sono in ufficio. In questo modo il personale sa che, in ogni momento, chi è seduto a quella scrivania fa parte dell’ERT.
KF: E’ anche giusto far notare che ogni telefono in azienda ha un pulsante che, se utilizzato, mette immediatamente in collegamento con il centro di coordinamento delle emergenze di Londra. In una situazione di pericolo, quando non si sa come reagire o anche se si ha il minimo sospetto circa la presenza di una minaccia, basta premere il pulsante, dire dove ci si trova e specificare la natura del problema. L’operatore fornirà una serie di informazioni, compresa la collocazione del membro ERT più vicino. A seconda del tipo di emergenza segnalata, il centro operativo provvederà anche a contattare una lista di persone tra cui alcuni manager, la ERT e la proprietà dello stabile nel caso quest’ultimo non appartenga all’azienda.
Avete incontrato difficoltà a reperire i volontari per le squadre d’emergenza?
KF: Tutt’altro. Al momento abbiamo più richieste del necessario. E sottolineo che far parte dell’ERT non porta alcun beneficio economico o di altra natura.
Come spiegate tanto successo?
FP: La volontà di rendersi utili agli altri è senz’altro un fattore. Inoltre, imparare come comportarsi nelle situazioni di pericolo dà molta sicurezza, un bene prezioso in un’epoca caratterizzata dalla paura come quella odierna. Inoltre, queste squadre riuniscono esponenti di ogni livello dell’azienda e in qualche modo sono dei momenti preziosi per cementare lo spirito di gruppo o per vedere i colleghi e i superiori sotto una nuova luce. Un collega lo scorso anno ha salvato una persona con attacco cardiaco all’aeroporto di Fiumicino, grazie al corso di primo soccorso al quale aveva partecipato.
Fate anche delle esercitazioni?
KF: Ogni anno ne facciamo una programmata: immaginiamo uno scenario (ad esempio incendio con due feriti) di comune accordo con i volontari dell’ERT e lo mettiamo in atto; il personale dell’azienda, in questo caso, sa che si tratta di un test. Vi sono poi anche esercitazioni a sorpresa e in quell’occasione nessuno sa che è un falso allarme, neanche l’ERT. Ci premuriamo anche di istruire un osservatore esterno, cosicché prenda nota di tutto quanto accade e ci dia le sue impressioni. Tutti i dati relativi a questi test vengono registrati in un database e analizzati per comprendere dove si può migliorare.
A vostro giudizio, esiste in Italia una cultura adeguata della gestione delle emergenze?
FP: No. Faccio un esempio. Abbiamo predisposto un test a sorpresa in grande stile a Madrid, volevamo che fosse il più realistico possibile per vedere come avrebbe reagito il personale. La Polizia e i Vigili del Fuoco sono stati entusiasti e ci hanno aiutato in ogni modo. I Vigili si sono offerti spontaneamente di chiudere la strada al traffico per facilitare le operazioni. La stessa iniziativa in Italia ha incontrato enormi ostacoli ed è stata accolta con un misto di sorpresa e diffidenza. Ed è un peccato, perché il nostro compito non è risolvere le emergenze, ma porre chi lo fa di professione nelle condizioni ideali per agire.