FM e Sanità: cosa non ha funzionato. E cosa funzionerà.

Data di pubblicazione: 25 AGO 2013
Lo stato di salute della sanità italiana, tra grandi performance ed estese sacche di inefficienza. Walter Ricciardi, Direttore dell’Osservatorio Nazionale per la Salute nelle Regioni, dipinge un quadro dettagliato del Sistema Sanitario Nazionale. E ci spiega perché il Facility Management è rimasto ancora sullo sfondo.

di Mariantonietta Lisena


La Sanità italiana riesce spesso a fare notizia; a volte con le sue luci, molto più spesso, purtroppo, con le sue ombre. Al di là però dei fatti sensazionali che raggiungono le pagine dei giornali, è giusto chiedersi quale sia il reale stato di questo settore. Una delle persone più indicate per rispondere a questa domanda è senz’altro Walter Ricciardi, Direttore del Dipartimento di Sanità Pubblica del Policlinico Gemelli e Direttore dell’Osservatorio Nazionale per la Salute nelle Regioni italiane. La sua testimonianza ci offre una lunga serie di dati interessanti, un ritratto accurato della Sanità italiana e uno sguardo alle reali prospettive del Facility Management in questo settore.

Qual è lo stato di salute del nostro sistema sanitario se rapportato a quello degli altri Paesi europei? Quale il suo livello di efficienza in rapporto alla spesa che genera?

Nel nostro Paese, nel 2010, si è speso per la sanità il 9,5% del PIL, nell’UE-27 tale quota è pari al 9,3% (11,7% in Francia, 11,5% in Germania, 9,6% in Spagna e Gran Bretagna). In Italia, la quota di spesa privata sul totale della spesa sanitaria si attesta al 22,4% contro il 25,5% registrato nei Paesi UE-27. La spesa sanitaria pubblica in termini pro capite nel nostro Paese ammonta a 2.365 $ PPP, 1.697 nei Paesi dell’UE-27 con alcune sostanziali differenze nei singoli Stati: 2.268 in Spagna, 3.334 in Germania, 3.037 in Francia e 2.877 in Gran Bretagna (fonte: WHO – World Health Statistics 2013).
In termini di risultato il sistema sanitario italiano ottiene ottime performance, infatti la speranza di vita alla nascita è passata da 77 anni nel 1990 a 82 nel 2011, assai inferiore quella che si registra nei Paesi UE-27 nei quali l’attesa di vita è passata, nello stesso periodo, da 72 a 76 anni.
Questi numeri testimoniano che il nostro sistema sanitario è uno dei migliori del mondo nel rapporto costi-risultati.

Vi sono comunque anche dei problemi. Qual è secondo lei il maggiore e da dove trae origine?

Il principale problema del sistema sanitario nazionale si riscontra nella capacità di governante che si traduce nella difficoltà di mantenere i bilanci in equilibrio e nell’assenza di un’efficace analisi dei costi di produzione, che impedisce di evidenziare i motivi delle ampie sacche di inefficienza presenti nei sistemi sanitari regionali. Ciò che si osserva con più frequenza negli interventi di politica sanitaria è la presenza di tagli orizzontali di spesa e di risorse materiali (strutture, posti letto, personale etc.), che finiscono spesso per ripercuotersi sui volumi di assistenza erogata, indipendentemente dalla loro appropriatezza.
Un altro limite osservabile è legato all’allocazione delle risorse alle Regioni. Il Rapporto Osservasalute 2012 ha segnalato, infatti, che le regioni del Mezzogiorno ricevono meno risorse economiche (nel 2011 Calabria 1.704€ pro capite, Campania 1.710€, contro una media nazionale di 1.851€ pro capite) e dispongono di meno posti letto per assistenza socio-sanitaria. Questa allocazione contrasta con i bisogni potenziali della popolazione. Infatti, se si confrontano le condizioni di salute, in termini di speranza di vita nel 2011 si registrano tra gli uomini 78,8 anni nelle regioni del Mezzogiorno, contro il 79,7 del Centro-Nord. Analogamente tra le donne abbiamo 83,9 anni nel Mezzogiorno, contro l’84,7 del Nord e l’84,8 delle regioni centrali. Anche per la speranza di vita in buona salute è evidente lo svantaggio del Mezzogiorno: nel 2009, 55,6 anni tra gli uomini e 53,6 tra le donne, contro un dato nazionale pari a 57,8 per gli uomini e 55,2 per le donne.

Più nello specifico, quali Regioni italiane sono quelle più virtuose dal punto di vista del sistema sanitario e quanta la differenza con quelle meno efficienti? E a cosa è dovuta secondo lei tale disparità?

Per la prima volta il Rapporto Osservasalute ha affrontato il tema della performance dei Sistemi sanitari regionali. Il quadro mette in evidenza i tradizionali differenziali Nord-Sud in termini di efficienza ed efficacia.
In generale, la Valle d’Aosta è la regione migliore. Campania, Puglia e Sardegna sono tra le peggiori.
Rispetto all’efficacia del sistema in termini di salute le regioni migliori sono Liguria, Piemonte, Toscana, la Provincia Autonoma di Trento e la Valle d’Aosta.
Le più efficienti in termini di capacità di tenere i conti in ordine sono Abruzzo, la Provincia Autonoma di Bolzano, Emilia-Romagna, Umbria e Valle d’Aosta. Le regioni migliori in termini di efficienza ed efficacia sono Valle d’Aosta, Emilia-Romagna e Umbria, ma attenzione ai trade-off dell’efficienza: la Provincia Autonoma di Bolzano e l’Abruzzo tengono i conti in ordine, ma conseguono scarsi risultati in termini di efficacia del Sistema.

A suo parere si è intrapresa la strada giusta per risolvere i problemi del settore sanitario? Su quali leve bisognerebbe puntare maggiormente in futuro?

Sino ad ora non mi sembra che il sistema abbia preso la giusta direzione. Le iniziative hanno avuto come mero obiettivo quello di mantenere sotto controllo la spesa pubblica, mentre poco è stato fatto per migliorare la governance e la razionalizzazione del sistema.
Aggiungerei a quanto detto che sarebbe necessario chiarire meglio i rapporti tra settore pubblico e privato per evitare il proliferare di episodi di assistenza inappropriata e limitare il rischio di comportamenti opportunistici. Sarebbe opportuno definire meglio le procedure di cura al fine di migliorarne la rispondenza con i bisogni del singolo cittadino (stesso livello e tipologia di assistenza a parità di condizioni di salute). Andrebbe, inoltre, assegnato un ruolo maggiore all’assistenza territoriale.
Particolare attenzione dovrebbe essere posta all’allocazione delle risorse economiche che andrebbe basata in misura maggiore sui bisogni potenziali della popolazione (condizioni di salute) e non sulla sola popolazione assistita, sia pur distinta per classi di età. La cattiva allocazione, evidenziata in precedenza, genera disuguaglianze sociali e inefficienze economiche.

In questo quadro, quale contributo può offrire il Facility Management nel risolvere o attenuare i problemi presenti?

Sono gli stessi strumenti che l'Osservatorio europeo dell’OMS (cui noi partecipiamo per l'Italia) suggerisce per uscire dall’attuale situazione di crisi in sanità:
- l’health technology assessment per supportare la definizione delle priorità, associato all’accountability e alla programmazione e controllo (compresi il monitoraggio e le misure di trasparenza);
- controllo degli investimenti nel settore sanitario;
- misure di sanità pubblica per ridurre il burden of disease;
- riduzione del prezzo dei farmaci associato all'utilizzo d’indicazioni di cost-effectiveness e altre misure per promuoverne la prescrizione e la distribuzione razionale;
 - l’integrazione e coordinamento dell’assistenza primaria e specialistica e dell’assistenza sanitaria e sociale.

Quale ruolo sta giocando attualmente il Facility Management nelle strutture sanitarie?

Il Facility Management ha costituito, nell’evoluzione del Sistema Sanitario degli ultimi decenni, il tentativo di impiegare strumenti di semplificazione, oggettivazione e razionalizzazione delle scelte, in forma integrata e sistemica oltre che multidisciplinare. Non è stato però impiegato sempre in modo corretto o funzionale, non riuscendo in molte realtà assistenziali sanitarie italiane ad adeguarsi alle esigenze di una sempre maggiore complessità tecnologica (assistenziale, diagnostica, strumentale, terapeutica, ecc), a fronte di una richiesta di flessibilità, adattabilità a nuovi modelli, resilienza dei sistemi, integrazione fra i vari livelli e minor impatto socio-economico.
In particolare, il Facility Management ha disatteso molte delle aspettative, più negli Enti Pubblici che in quelli privati, poiché in molti casi le aziende pubbliche non ne hanno intuito, focalizzato o compreso il significato o l’utilità, specialmente nel senso dell’attenzione completa alla persona (di cui molto si ha necessità in Sanità), in una prospettiva di attenzione globale ai suoi bisogni e necessità. In tal senso è spesso rimasto confinato alla gestione, talora anche non integrata, di solo pochi servizi “no-core” delle strutture sanitarie (prevalentemente identificabili nei servizi ausiliari di pulizia e ristorazione), mentre molto dovrebbe essere fatto, come prima già definito, nella gestione integrata di edifici, impianti e tecnologie, nel supporto alle decisioni per la qualità, per le tecnologie da adottare e per il supporto alla governance dei percorsi assistenziali integrati tra ospedale e territorio. Tutto ciò sempre in un’ottica integrata, sistemica e multidisciplinare.
Nell’area dell’edilizia integrata, uno dei maggiori campi del Facility Management, dai dati ISTAT/ANCE si evincerebbe che non si arresta il calo della produzione nel settore delle costruzioni, che anche nel primo bimestre del 2013 in Italia registra un calo del -6,3% rispetto allo stesso periodo del 2012. Dai dati del CRESME si evincerebbe che non esiste, pur prendendo il tutto con le dovute cautele e distinguo, una vera e propria crisi per il Facility Management, almeno in questo ambito. Il comparto che raggruppa i servizi collegati agli immobili o ai suoi utenti ha fatto registrare nel 2012 una crescita del 3,5 per cento con un valore complessivo dei bandi di gara pubblicati nel 2012 che ha messo a segno un incremento appunto del 3,5% in valore, passando da 35,8 a 37,1 miliardi di euro.
Di fatto, il settore "Edifici e infrastrutture" è il settore che perde di più in valore (3,7 miliardi sul 2011, pari a un -31,4%), mentre ne crescono altri come i servizi per la mobilità (+130%) e quelli relativi a pulizia e ristorazione (+47,8%), che tanto interessano attualmente le strutture sanitarie. Rammento però, come la stessa IFMA Italia ha ben citato, che la crescita complessiva del Facility Management è alimentata dalla spesa corrente, che non è vincolata al patto di stabilità come lo è invece la spesa per gli investimenti, tanto che le aggiudicazioni presentano una diminuzione del 31% rispetto al 2011. Anche in questo caso, il dato è dovuto maggiormente ai contratti del comparto "edilizia e infrastrutture", che perdono il 60%, percentuale molto elevata per qualsiasi Paese che non fosse il nostro.
Sostanzialmente, nelle strutture sanitarie pubbliche, così come nelle Pubbliche Amministrazioni italiane, servizi che presentano molte e annose criticità (come la gestione documentale) sono ancora pensati, gestiti ed erogati con personale proprio, e si è ancora lontano dal realizzare una loro sistematica esternalizzazione.

Quali sono in definitiva gli ostacoli a un maggiore impiego del Facility Management?

Molto è stato fatto in Italia per il Facility Management e per far comprendere significato, ruoli e importanza del Facility Manager, ma molto deve essere ancora fatto per conseguire risultati assimilabili a quanto ottenuto in paesi europei quali Regno Unito, Germania, Olanda e Svezia, o paesi extraeuropei.
Certamente, gli ostacoli attuali al Facility Management e Manager sono diversi e alcuni di questi rappresentano i principali limiti dell’assistenza sanitaria in Italia: l’eccessiva burocratizzazione e gerarchizzazione dei sistemi; la ridotta, in genere, adozione di governance oggettive e basate su evidenza; la mancanza di “informazione e cultura” sul merito con assenza di comunicazione e accountability.
I Facility Manager dovrebbero superare, o essere posti in grado di superare, il limite e gli esiti del ruolo ad oggi, in genere, loro assegnato del mero aspetto gestionale del sistema, il che comporta che spesso il Facility Manager viene confuso con ruoli e professionalità già preesistenti negli organici delle aziende. Il passaggio a ruoli, professionalità e metodi di Facility Management maggiormente oggettivi, razionali, analitici e strategici, richiede non solo innovativi modelli di applicazione nelle strutture sanitarie, talora differenti da altre realtà aziendali o produttive, quanto una sostanziale variazione e innovazione nella formazione del Facility Manager e nel grado di “cognizione e consapevolezza di sistema” che deve possedere come bagaglio formativo. Ciò al fine anche di superare le residue ”diffidenze” che l’organismo sanitario, in particolare pubblico, ancora possiede come patrimonio di conoscenze nei confronti del Facility Manager e Management.
Peraltro il Facility Management deve affrontare in Italia un “marketing” frammentato, spesso costituito da piccole realtà locali, a loro volta scarsamente preparate per affrontare un’attività di “Global Healthcare” a carattere strategico globale e integrato sistemico, ovvero di partnership unica per la governance, la valutazione, l’attuazione e l’erogazione della maggior parte dei servizi no-core della struttura sanitaria. Per altro, nel futuro, è da prevedersi un’espansione della richiesta di esternalizzazione di servizi più e ancora per settori specifici che non globali, sempre ciò in relazione ad una non ancora completa “maturazione” del settore o, al contrario, per specifiche esigenze proprio del settore sanitario (quali, ad esempio, il farmaceutico, il biotecnologico, l’impiantistico-energetico, ecc..). Il limite a tutto ciò, ed è cosa su cui riflettere bene, è la formazione, un aspetto su cui anche il mondo accademico e non solo sanitario è molto sensibile.
È necessario uno sviluppo di nuovi modelli e metodi formativi di tipo innovativo e di nuove metodologie di comunicazione, utili anche a rendere maggiormente “visibili” il Facility Management e il Facility Manager e a certificarne ruoli e responsabilità: l’obiettivo è, come sempre, creare cultura per innovare.

Quale ruolo può allora ricoprire il Facility Management nel facilitare un approccio più sostenibile alla gestione delle strutture sanitarie?

La crisi economica, la necessità di adattabilità e flessibilità rapida a nuovi modelli di erogazione delle prestazioni sanitarie nel rispetto dell’efficacia, le continue e incessanti innovazioni tecnologiche, l’esigenza di maggiore efficienza e qualità a minor costo, i nuovi sistemi o modelli anche edilizi, strutturali, funzionali e spaziali delle strutture sanitarie, oltre che le tematiche energetiche sempre più stringenti nel miglioramento delle performance edilizie ed impiantistiche, rappresentano gli “spazi aperti” al Facility Management.
Il Facility Manager ed i sistemi di Facility Management devono potersi adattare, con metodi innovativi e creativi, all’esigenza di ristrutturazione e di cambiamento organizzativo, gestionale e strutturale anche edilizio, energetico, impiantistico ed interattivo con il territorio che gli ospedali dovranno affrontare a breve. Non dimenticando che un Facility Management ottimale non deve essere solo in grado di gestire la qualità dei servizi e programmare le attività integrate, gestire i fornitori e valutarne i risultati o supportare le scelte, quanto saper, a sua volta, gestire le proprie risorse e informare e formare il personale dell’azienda, cogliendone esigenze, necessità, bisogni e desideri in particolare esaltandone le motivazioni e rendendolo partecipe della vision e della mission aziendale.
Il campo dell’edilizia sanitaria, degli impianti, delle nuove tecnologie e della sostenibilità ambientale o dell’efficientamento energetico (con l’Energy Manager e l’Energy Management) rappresentano vecchi e nuovi “spazi” da esplorare per il Facility Management e il Facility Manager. Si consideri che in un contesto ospedaliero italiano con una volumetria di circa 300.000 metri cubi per ospedali di medie-grandi dimensioni ed un bilancio di circa 250 milioni di Euro/anno, il valore dei vettori energetici è di circa 2,6 milioni di Euro/anno con un’incidenza sul bilancio dell’1% circa. La sola produzione di calore in media per posto letto è quantificabile in 27.400 kWhterm/pl ovvero 297 kWhterm per metro quadro di superficie dell’ospedale mentre, date le attuali tecnologie sempre più energivore, l’energia elettrica impiegata è in media di 11.300 kWhelettrici per posto letto ovvero circa 116 kWhelettrici per metro quadro di superficie ospedaliera. Ciò comporta che in Italia circa il 50% dei costi del Sistema Sanitario Nazionale è attribuibile al servizio ospedaliero, con un’incidenza dei costi derivanti dall’impiego di energia pari al 5-6 % del totale, per un costo energetico medio annuo per posto letto di €1.700, di cui €1.300 sono dovuti al riscaldamento, con emissioni ad impronta di carbonio valutabili in migliaia di tonnellate CO2/equivalenti l’anno. Tutto ciò senza considerare l’impiego/spreco di acqua, la produzione di rifiuti in pressoché totale assenza di differenziazione e/o recupero che avviene nelle strutture sanitarie a fronte di una richiesta di “sostenibilità ambientale” sempre più critica. Pertanto il ruolo del Facility Manager o del Facility Management in questo campo appare cruciale al fine dell’efficientamento energetico e del miglioramento delle performance degli impianti e dei servizi in ambito sanitario così come è, tra gli altri, in fase di attuale sperimentazione presso il Policlinico “A. Gemelli” dell’Università Cattolica del Sacro Cuore con il Progetto “Green Hospital: Environmental and Health Impact Project”.
Il Facility Management potrebbe divenire, dunque, uno dei punti focali dei processi di progettazione di spazi e servizi, di tecnologie e di impianti, di empowerment e di consapevolezza negli utenti e negli operatori sanitari delle nuove esigenze e dei comportamenti virtuosi utili alla coniugazione di maggiore flessibilità, aumento delle prestazioni strutturali ed impiantistiche, implementazione delle performance sanitarie con maggiore efficacia ed efficienza nei servizi e nelle motivazioni, in un clima di “benessere” globale.