La Germania si da malata e il resto dell’Europa che cosa fa? Il 15% delle malattie è finzione.
In Germania si dice “Morgen mach ich blau…” (domani faccio blu) quando si simula una malattia per non andare a lavorare. Anche negli altri paesi europei succede la stessa cosa, solo che si chiama in altri modi. Gli spagnoli lo chiamano “hacer novillos” (fare i buoi), in Gran Bretagna semplicemente si chiama “skip work” (marinare), i francesi usano “se faire porter pâle” (dichiararsi malaticci), in Italia lo chiamiamo assenteismo e nei Paesi Bassi ci si prende un “Baaldag”.
In particolare succede il lunedì o il giorno successivo ad una pausa festiva. Spesso si tratta degli stessi recidivi che a volte si presentano addirittura con il certificato del medico.
La Aon è la più importante società al mondo che si occupa di consulenza in merito al management dei rischi aziendali e Human Capital Consulting. Nell’anno 2010 ha condotto alcuni studi che hanno rilevato che in dieci paesi europei di una certa importanza economica i giorni di assenteismo sono stati 120 milioni all’anno; le verifiche hanno stabilito che si trattava di false malattie. Inoltre aggiunge che questi dati sono largamente approssimativi poiché di sicuro molti dei lavoratori intervistati non hanno osato ammettere apertamente che hanno finto la malattia per avere giorni liberi.
Aon pensa che ci siano delle cause precise per cui ogni tanto si sente il bisogno di fingersi malati per avere uno stacco dal lavoro. Tra le altre cose ai lavoratori intervistati è stato chiesto il vero motivo per il quale sono stati a casa l’ultima volta che si sono dati malati. In media solo per il 57% si trattava di autentica malattia. I più diligenti sono i danesi (78%), mentre fra gli spagnoli solo il 37% si è assentato perché veramente malato. Fra i lavoratori intervistati dei diversi paesi europei in causa, la media totale di quelli che hanno ammesso di essersi assentati per motivi non legati alla malattia è del 37%. Il 10% ha dichiarato che la causa del darsi malato è in genere una combinazione di fattori personali, di salute e di rapporto con il proprio ambiente lavorativo. Stranamente solo il 2% degli intervistati ha indicato che il motivo di assenteismo per loro è stato semplicemente la mancanza di voglia di lavorare, generata da situazioni di stress o da conflitti con i colleghi. Altri fattori connessi sono la possibile e diffusa recidività degli stati depressivi e lo spirito di rivalsa nei confronti dei datori di lavoro. L’insoddisfazione professionale e la sensazione di trattamento ingiusto da parte dei superiori o dei colleghi sono ulteriori cause di malcontento e conseguente assenteismo, secondo l’analisi condotta. Un alto numero di persone pensano di tamponare questo tipo di conflitti stando a casa saltuariamente.
La domanda a questo punto è: cosa si può fare per contrastare i finti malati e in generale l’assenteismo? Stando allo studio condotto dalla società Aon la causa di questo fenomeno non è tanto la mancanza di voglia di lavorare, quanto la necessità personale di orari più flessibili. Il 31% degli intervistati ha ammesso che eviterebbe di prendere giorni di malattia se ci fosse la possibilità di avere un determinato numero di giornate libere da dedicare ai vari impegni personali. Per il 27% sarebbe sufficiente anche solo l’adozione di orari flessibili e addirittura il 15% dichiara che basterebbe potere svolgere un lavoro più interessante.
Come in tutte le cose della vita, anche in merito a questo argomento ci sono le due facce della medaglia e le contropartite: mentre da una parte ci sono quelli che si danno malati per non andare al lavoro, dall’altra ci sono quelli che vanno in ditta anche se sono malati. Si chiama presenzialismo. Recenti valutazioni hanno fatto emergere, che anche il presenzialismo può essere causa di perdite di produzione per l’azienda, in alcuni casi addirittura di entità superiore rispetto ai danni dell’assenteismo. La società di assicurazioni svizzera Groupe Mutuel, la terza in ordine di importanza del paese, definisce il presenzialismo come “presenza fisica sul posto di lavoro, che per motivi di non piena efficienza e di ridotta salute può non assolvere appieno la propria mansione produttiva”. Questa capacità di prestazione limitata insorge anche quando esistono problemi privati e professionali irrisolti, o in presenza di forte stress, di giornate lavorative troppo lunghe o di intima demotivazione. Le malattie e le debilitazioni come mal di testa, mal di schiena, raffreddori, ipertensione o stati depressivi influenzano naturalmente la prestazione dell’individuo sul posto di lavoro. Come conseguenza si ha una ridotta qualità dell’operato e un’appannata capacità di giudizio, con conseguente rischio di infortunio e incidenti.
Ma allora dov’è la chiave per risolvere il dilemma?
La societa Aon evidenzia che la chiave per affrontare l’argomento è la tutela dell’“Employee Wellness“, soprattutto per ridurre le ore di assenza. L’”Employee Wellness“ può essere anche la soluzione per curare il presenzialismo, se si riesce a combinare in modo adeguato le esigenze di salute, personali e relative al posto di lavoro.
Lo si può chiamare anche “benessere sul posto di lavoro”. I fattori che concorrono per il raggiungimento di questo benessere sono molteplici e anche le aziende devono dare il loro contributo. Sono molte le aziende, in genere le più grandi, che hanno ideato delle task force che hanno l’obiettivo di creare e sostenere il benessere dei propri impiegati. Lo scopo è quello di imperniare la politica aziendale su fattori strategici, dove la salute delle persone è al primo posto e dove la cultura aziendale, le strutture e i processi di produzione pongono un occhio di riguardo al benessere del lavoratore. In linea con questa nuova filosofia, sono nati nuovi stili e culture aziendali che privilegiano la tutela della salute e del benessere dei lavoratori. Si è sviluppata una particolare attenzione per esempio per la consulenza medica all’interno dell’azienda, la prevenzione, la fisioterapia, la cura dei prodotti delle mense per arrivare all’allestimento di asili interni. Viene data maggiore importanza alla qualità degli arredi: le postazioni di lavoro condivise in open space favoriscono la comunicazione e l’interazione tra colleghi, mentre le poltroncine ergonomiche assecondano i movimenti, facilitando una postura dinamica.
Il Diesel Village è sinonimo di architettura su misura, nel rispetto delle esigenze di chi vi lavora, casa ideale per i dipendenti dell’azienda. Gli uffici in open space sono stati realizzati con arredi Sedus
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Sedus, oltre 140 anni di storia dedicati allo sviluppo di strategie e prodotti per la creazione di ambienti ufficio in cui le persone possano lavorare, in un’atmosfera piacevole, in grado di accrescere creatività e produttività. Tutto questo per il benessere del singolo e dell’azienda.
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