Un reportage dalla conferenza “Reth!nk”, organizzata a Los Angeles da IFMA nel quadro del Facility Fusion 2013
Una delle conferenze più apprezzate dell’ultimo Facility Management Day, organizzato da IFMA Italia a Milano lo scorso 6 novembre, ha cercato di comprendere quale ruolo possa avere il Facility Management nella creazione di un nuovo e più efficiente modello di gestione della città. Solo qualche mese prima una conferenza dal titolo “Reth!nk”, tenutasi nel quadro dell’IFMA’s Facility Fusion 2013 Conference & Expo di Los Angeles, ha affrontato la stessa tematica, anche se con un’attenzione più specifica sul tema della sostenibilità.
Un video di queste presentazioni è visibile su
www.youtube.com/ifmaglobal.
“Il centro della vostra attenzione è ciò che accade negli edifici. Le stesse cose accadono tra gli edifici” ha affermato il primo relatore, l’esperto di urbanistica David Schleicher, rivolgendosi a un pubblico composto principalmente da Facility Manager. L’affermazione di Schleicher, lungi dal voler minimizzare la complessità insita nelle operazioni di urbanistica, voleva sottolineare come la progettazione e la gestione delle città e degli edifici sono attività di fatto inseparabili, sia concettualmente che concretamente.
Schleicher ha proseguito notando che il principale trend demografico dei prossimi 50 anni sarà una crescente e rapida urbanizzazione. La popolazione urbana raddoppierà raggiungendo i 6,4 miliardi entro il 2050. Tutto ciò porterà una lunga serie di mutamenti di ordine ambientale, culturale e tecnologico che andranno a interessare in maniera diretta i Facility Manager. Queste figure avranno però la possibilità, e per certi versi l’onere, di guidare questi cambiamenti. Sam Sullivan, ex sindaco di Vancouver e altro relatore d’eccezione della conferenza, ha iniziato il suo intervento affermando che sono i pianificatori urbani ad avere l’obbligo di ascoltare i Facility Manager e non viceversa. Sono proprio i Facility Manager, infatti, a sperimentare per primi gli effetti concreti delle varie politiche urbane e rappresentano quindi una sorta di avamposto in grado di percepire e segnalare eventuali problemi e anomalie prima di tutti gli altri. Dovrebbero perciò rivestire un ruolo da protagonisti nelle attività di pianificazione urbana.
Schleicher ha ricordato come le città moderne abbiano avuto origine principalmente come centri industriali e siano sorte in un determinato punto geografico per la sua prossimità alle risorse naturali. La nascita delle fabbriche ha poi fatto sì che diverse altre attività si trasferissero in città per fornire servizi all’industria locale. Il basso costo dei trasporti e del petrolio ha però invertito la tendenza, rendendo la vicinanza tra le diverse attività una necessità molto meno stringente. Non c’era più alcun bisogno, per fare un esempio, che l’azienda produttrice di sospensioni si trovasse per forza in prossimità della fabbrica di automobili. Questa trasformazione ha di fatto cancellato la ragion d’essere originale dei centri urbani. Eppure le persone tendono ancora oggi a muoversi verso le città.
Ogni maggiore conquista tecnologica degli ultimi secoli, ha osservato Schleicher, dal telegrafo all’automobile, è stata accompagnata dalla predizione che ciò avrebbe significato la fine delle città. Anche oggi, in fondo, la possibilità di lavorare ovunque grazie al perfezionamento delle tecnologie di telecomunicazione dovrebbe portare le persone a scegliere di vivere fuori dall’affollamento dei grandi centri urbani, visto che non è più così stringente la necessità di abitare a breve distanza dal luogo di lavoro. Ciononostante abbiamo visto verificarsi il fenomeno opposto: i centri urbani hanno continuato, e continuano tuttora, a crescere.
Perché?
La principale spiegazione, secondo Schleicher, riguarda direttamente con l’ampiezza dei mercati cittadini, sia in senso figurato che letterale. Le persone e i business tendono a muoversi ovunque ci sia una grande concentrazione del tipo di risorse loro necessarie. Per un’azienda è più facile trovare la persona adatta per ricoprire una determinata carica cercandola nella densità di una città. Allo stesso modo le persone in cerca di lavoro tenderanno a spostarsi nei grandi centri, perché vi troveranno le opportunità formative per diventare una risorsa altamente specializzata. Oltre, chiaramente, a più possibilità d’impiego rispetto a un piccolo centro.
Una città offre inoltre una maggiore circolazione delle informazioni e più opportunità di scambio di conoscenze. Non è perciò un caso che gli urbanisti oggi si trovino, non diversamente da quanto fanno i Facility Manager con gli spazi di lavoro, a immaginare città che facilitino al massimo il contatto e l’interazione casuale tra le persone.
Dopo Schleicher, è stato il turno dell’ex sindaco di Vancouver Sam Sullivan. La città canadese è considerata una delle città più vivibili al mondo, grazie a una florida economia, strade praticabili, un basso tasso di criminalità, grande diversità culturale, buone scuole, presenza di verde e uno sviluppo mirato alla cura dell’ambiente. Secondo Sullivan una delle principali chiavi del successo di Vancouver è la densità urbana. Il centro canadese, per fare un esempio, mostra un consumo pro capite di benzina che è meno della metà di quello di Houston, città che a differenza di Vancouver, si estese orizzontalmente coprendo una superficie ben più ampia. E i vantaggi della maggiore densità sono evidenti anche analizzando la stessa Vancouver, che mostra come l’emissione di gas serra sia quattro volte maggiore in periferia rispetto a quanto non sia nel popolatissimo centro città.
La densità quindi mitiga gli effetti del cambiamento climatico, oltre ad avere tutti i vantaggi citati da Schleicher, in particolare quelli relativi alle maggiori possibilità di interazione e scambio tra le persone.
L’obiettivo di uno sviluppo sostenibile delle città dovrebbe perciò essere quello di aumentarne la densità abitativa. Le possibilità, da questo punto di vista, sono essenzialmente due: creare diversi, piccoli centri di grande densità distribuiti su di un’area molto ampia o rendere densissima un’area molto più ristretta. La scelta non va fatta, secondo Sullivan, sul piano teorico, quanto piuttosto su quello della fattibilità politica. Da questo punto di vista, la scelta è chiara: meglio creare grande densità in un’area ristretta della città. Si tratta di un’opzione più conveniente dal punto di vista dei costi, che inoltre incontrerà molta meno resistenza politica rispetto all’idea di creare tante piccole aree di moderata densità in una porzione però molto ampia della città.
Ultimo relatore il giornalista e scrittore Jeff Speck, esperto nel campo del design e della progettazione delle aree urbane. Il suo intervento, così come il suo libro “Walkable City: How Downtown Can Save America One Step at a Time”, ha voluto sottolineare come il simbolo di tutti benefici sociali che l’urbanizzazione può portare è dato dalla fruibilità (o, letteralmente, la “camminabilità”) delle strade di una città. Con questa espressione si intende una misura di quanto le strade di un centro urbano siano percorribili a piedi, con benefici dal punto di vista della salute, dell’ambiente e del bilancio economico. Speck si è rivolto ai Facility Manager con una battuta: “voi gestite degli edifici. Per loro natura si tratta di oggetti che non possono muoversi dal loro posto. Bisogna allora far sì che la gente voglia venire a vivere e lavorare in quel posto”. Speck ha fatto notare che l’88% degli appartenenti alla “Generazione Y” (ovvero i nati tra gli anni ’80 e i primi anni 2000) con educazione universitaria preferisce vivere nel centro delle città. Si tratta di una generazione cresciuta consumando serie televisive ambientate nei grandi centri urbani – Friends, Seinfield, Sex & The City – piuttosto che nella periferia idealizzata di serie degli anni ’70, periodo in cui meno del 10% dei diciannovenni dichiarava di voler vivere in centro. E questo è un bene secondo Speck: “economisti, epidemiologi e ambientalisti, tre gruppi che di solito faticano a trovarsi d’accordo su qualunque cosa, sono unanimi nel sottolineare i benefici della città: maggiori livelli di produttività e di creatività, tassi inferiori di obesità e di malattie croniche e minori emissioni di CO2 pro capite”. Vivere in città porta benefici anche dal punto di vista sociale: si calcola che ogni dieci minuti aggiunti allo spostamento casa-lavoro si tramuta in un dieci per cento in meno di possibilità di impegnarsi in attività a favore della comunità. Il pendolarismo inoltre è costoso e i soldi spesi nel viaggio spesso lasciano il Paese, soprattutto grazie al consumo di petrolio di provenienza estera.
Speck ha concluso il suo intervento riprendendo le affermazioni di Sullivan e sottolineando come a suo parere gli amministratori cittadini dovrebbero concentrare i loro sforzi nella creazione di un nucleo di strade “camminabili” piuttosto che disperderli in numerosi, piccoli miglioramenti a favore dell’intera area urbana. Creare anche solo due isolati di spazio cittadino in cui sia piacevole passeggiare può dare il via a un grande rinascimento urbano, come accaduto nell’area del Lower Downtown di Denver, motore iniziale dell’impressionante crescita economica e culturale che ha caratterizzato la città del Colorado negli ultimi vent’anni.
Tratto da:
Cities and Facility Management - IFMA’s Facility Fusion Reth!nk City Symposium
di Adam Teicholz and Eric Teicholz
Da FMJ – Luglio/Agosto 2013