La via per creare le città del domani passa dal FM
Data di pubblicazione: 09 DIC 2013
A colloquio con il consulente dell’ANCI Gianni Verga e il professore di Sociologia urbana Giandomenico Amendola, per scoprire se è possibile immaginare un nuovo modello di città in Italia e quale contributo potrà dare il FM alla sua realizzazione.
Sviluppo tecnologico, attenzione all’ambiente e mutamenti demografici stanno cambiando volto alle città del mondo, portandole a evolversi verso un nuovo modello più sostenibile, anche dal punto di vista economico. È il concetto di Città Intelligente (o Smart City), che presuppone la creazione di un sistema integrato basato su alcuni sottosistemi (quali la sicurezza, l’acqua, la salute, le infrastrutture, l’economia, ecc.) da gestire in maniera coordinata ed efficiente per garantire uno sviluppo sostenibile del territorio, migliorare la qualità della vita dei cittadini e soddisfare le esigenze di imprese e istituzioni.
Ma è possibile creare delle smart city in Italia? Il momento non parrebbe propizio, visti i tagli nei bilanci delle amministrazioni locali, come fa notare Giandomenico Amendola, Professore ordinario di Sociologia Urbana presso l’Università di Firenze: “Per motivi politici ed economici molti compiti relativi al welfare urbano nell’ultimo decennio sono stati spostati dallo Stato ai Comuni. Questi ultimi si sono così trovati in breve tempo a dover garantire un buon livello di welfare urbano avendo però a disposizione risorse sempre più scarse. C’è una battuta che dice le smart city sono solo quelle governate da smart people. Ecco, oggi essere creativi e capaci di ideare progetti davvero intelligenti sono caratteristiche che ogni Amministratore locale è costretto a da avere se vuole svolgere con successo il suo ruolo”.
Gianni Verga, Consulente “Fondazione Patrimonio Comune”, ANCI, è sostanzialmente d’accordo: “In questo decennio i Comuni italiani hanno imparato a fare di necessità virtù, diventando più creativi e intraprendenti nel tentativo di rispondere efficacemente alle esigenze della popolazione utilizzando budget ridottissimi.
Oggi quando si pensa alla realizzazione di una nuova opera pubblica le amministrazioni comunali hanno subito ben presente l’opzione di affidarne la gestione a dei privati. E questo è già di per sé un enorme passo avanti, che segna il superamento della vecchia impostazione ideologica che vedeva tutto ciò che è pubblico come qualcosa da gestire per forza a livello di PA, locale o centrale che fosse. Le proposte e iniziative che vediamo giungere dai Comuni vanno spesso oltre la vecchia cultura della PA, toccano argomenti come la gestione dell’energia e di servizi complessi e la realizzazione di spazi che non necessariamente devono poi entrare a far parte del patrimonio pubblico, anche questo un passaggio epocale nella cultura del nostro Paese.
Certo, c’è tantissimo da fare e ci vorranno forse decenni per modificare definitivamente, e in meglio, il volto e il modo di funzionare delle nostre città. Ma molti dei presupposti perché ciò accada ci sono già, vanno solo sviluppati e incoraggiati”.
“A tal proposito” commenta Amendola “è importante chiarire bene un punto: la tecnologia per realizzare delle smart city non solo c’è già, ma ne abbiamo addirittura una sovrabbondanza e spesso è disponibile anche a prezzi abbastanza contenuti. Abbiamo perciò a disposizione gli strumenti e anche di progetti ve ne sono moltissimi in Italia, sebbene spesso riflettano solo la capacità d’offerta dell’impresa o dell’università che li propone”.
“Per cui” prosegue Amendola “la risposta c’è già. Il vero problema è individuare la giusta domanda. E questa sarà diversa da Comune a Comune, e da quartiere a quartiere. Non esiste una ricetta buona per tutti. La sfida è comprendere di cosa esattamente ha bisogno ogni area della città, dopodiché le risposte possibili, sia in termini di tecnologia che di progetti, non mancheranno di certo. In questo contesto, i Facility Manager rappresentano le figure ideali per comprendere le esigenze delle diverse zone urbane e quindi aprire la strada a delle risposte efficaci”.
Ma i Comuni italiani sono davvero pronti per ricevere il contributo del Facility Management? Verga è convinto di sì: “negli ultimi anni le amministrazioni comunali hanno imparato a codificare alcuni strumenti che il sistema normativo mette a loro disposizione e ad usarli per fare operazioni di FM, come i contratti di realizzazione e gestione o addirittura, come detto, i contratti di disponibilità con la possibilità di usufruire di un’opera di cui non si ha la proprietà semplicemente pagando un canone. Certo, non tutti gli Amministratori degli 8000 Comuni italiani si mostrano così illuminati, ma ci stiamo muovendo nella giusta direzione”.
Amendola mette però in guardia su uno dei possibili ostacoli sulla strada di uno sviluppo intelligente delle nostre città: “purtroppo anche il concetto di smart, di città intelligente e tecnologica, rischia di diventare solo una formula vuota, come spesso accade in Italia. Slogan come ‘siamo pronti per i servizi dello Stato in tempo reale’ mi fanno sorridere, io mi accontenterei dei servizi in ‘tempo decente’ e ancora non li abbiamo”. Invita quindi a scegliere con cura i modelli cui ispirarsi: “l’estero porta esempi di esperienze urbane per noi del tutto irraggiungibili al momento, come quello del quartiere di Hammarby. È inutile cercare qualcosa da copiare in realtà così avanzate e per noi del tutto fuori portata, almeno al momento. Ci sono però altre esperienze che invece già oggi sono facilmente replicabili per noi. Penso a Saragozza e alla semplice idea che hanno avuto per riqualificare alcune delle zone più degradate. Uno dei problemi maggiori delle periferie è l’anonimato dei suoi grandi palazzi, l’assenza di qualità estetica delle costruzioni. L’amministrazione di Saragozza ha risolto questo problema brillantemente e con un costo contenutissimo, applicando dei led a ogni mattone presente nella copertura delle facciate dei palazzi periferici. I led possono essere comandati via radio e quindi ogni sera questo sistema di illuminazione viene usato per creare dei disegni animati sulle facciate dei palazzi. Stiamo parlando di una soluzione che richiede poche centinaia di euro a facciata, ma che immediatamente dà una nuova identità al quartiere e migliora la qualità percepita da chi lo abita”.
“Questo è un passaggio molto importante e spesso trascurato” puntualizza Verga “la cura dell’arredo urbano è un elemento fondamentale per rilanciare le città nel loro complesso. Bisogna portare le persone a riconquistare la cultura dello spazio pubblico e la consapevolezza di essere parte di una comunità. Oggi è possibile cambiare il volto dell’arredo urbano e farlo a costo zero, utilizzando gli introiti della pubblicità, e migliorare così in maniera sensibile la qualità percepita da parte dei cittadini.
Il vero problema è che oggi la città è vissuta come un fastidio da parte di chi la vive quotidianamente, come fosse una sorta di male necessario cui bisogna adattarsi. Bisogna invece impegnarsi per farla ridiventare un luogo vero di vita. Per questo bisogna lavorare sui fondamentali. Una comunità buona vive e cresce in un luogo bello. Vivere in un ambiente esteticamente brutto è come ricevere ogni giorno un pugno nello stomaco. La bellezza non è inutile, è basilare per una società che voglia ritrovare il gusto del bene. Questa deve essere la base di ogni intervento sulla città: rifondare il senso di comunità. Senza di esso non c’è progetto, per quanto intelligente, che possa funzionare”.