Carlo Nicotera di Romeo Gestioni spiega perché è possibile sin da ora creare un nuovo e più efficace modello di gestione delle aree urbane e chiede più intraprendenza a tutto il settore del FM.
In tempi in cui si discute molto della creazione di nuovi modelli di città a fronte di un forte taglio dei bilanci per i Comuni italiani, il settore del Facility Management si sente sempre più chiamato in causa come possibile fonte di risposte efficaci da proporre per vincere questa difficile sfida. Vediamo allora quali sono le strategie in questa direzione di uno dei principali attori del mercato del FM, Romeo Gestioni. Ne parliamo con Carlo Nicotera, responsabile Marketing e Comunicazione della società.
Cosa può fare il Facility Management per dare un contributo alla creazione di un nuovo modello di città?
Può e deve fare moltissimo. Negli ultimi anni abbiamo visto crescere, con piacere, l’intraprendenza e la creatività da parte degli Amministratori locali, che si mostrano molto attivi nel proporre progetti atti a migliorare la città con un utilizzo sostenibile delle risorse. Però io credo davvero ci debba essere un’inversione di tendenza. Il mondo del Facility Management deve diventare più attivo in questo settore e proporre prototipi e progetti ai Comuni, ribaltando la questione e creando attraverso queste iniziative “nuovi bisogni”. Non possiamo aspettare solo che sia la lenta evoluzione della società a proporci delle sfide cui poi reagire, come può essere ad esempio l’invecchiamento della popolazione. Credo che debba entrare in gioco anche la capacità d’impresa delle società di FM e che questa porti a proporre alle amministrazioni comunali un nuovo linguaggio e una nuova interpretazione della realtà.
La specificità del FM in fondo è proprio quella di sapere anticipare i bisogni futuri di un’organizzazione e di riuscire a trovare una nuova chiave di lettura nei processi quotidiani per renderli più efficaci. Lo stesso va fatto con le città, piccole o grandi che siano. Le società di FM devono fare il primo passo, analizzare la realtà dei singoli Comuni, aiutarli a individuare le loro reali esigenze e proporre quindi nuovi progetti e prototipi su misura.
Non esistono perciò soluzioni buone per tutti?
Assolutamente no. Non esistono per le aziende, figuriamoci per organismi complessi come città e quartieri. E non dobbiamo lasciare gli Amministratori comunali da soli nell’impresa di trattare questa complessità, che tra l’altro è il pane quotidiano di chi si occupa di FM.
Cosa può fare da parte sua la PA per accogliere il contributo del FM?
Deve assolutamente cambiare il suo linguaggio e abbandonare lo stile arcaico che la contraddistingue, perché troppo lento e assolutamente inadatto alla veloce realizzazione di un progetto adeguato. Non ha senso che una pratica burocratica impieghi mesi a compiere il suo iter in un’epoca in cui i documenti possono essere inviati e ricevuti in maniera istantanea. Questo è un primo elemento che deve necessariamente cambiare, aprendo anche la strada a un mutamento ancora più profondo nel linguaggio e modo di ragionare della PA, che deve davvero iniziare a ragionare in termini di responsabilità. Non possiamo parlare realmente di progetti, e sperare che vadano a buon fine, se non identifichiamo anche una figura che ne sia responsabile. Questo è il cambiamento fondamentale che deve avvenire per far sì che i nostri Comuni siano pronti a fare un vero salto di qualità: l’Amministratore deve accettare e svolgere il ruolo di responsabile di un progetto, rendendo conto del proprio operato ai cittadini.
Ciò però richiede forse un cambiamento di mentalità anche da parte dei cittadini stessi.
Esatto. I cittadini devono fare un salto culturale e iniziare a comportarsi non da semplici utenti della cosa pubblica, ma da veri e propri azionisti del proprio Comune. E quindi fare pressione sui propri Amministratori locali per chiedere che i progetti creati nella propria città o quartiere funzionino davvero. Paradossalmente, questo processo di emancipazione civile può passare e svilupparsi proprio attraverso la sperimentazione di questi nuovi “prototipi amministrativi”.
Per lei quello che si oppone al diffondersi di un nuovo modello di città è quindi un problema soprattutto culturale?
Proprio così. L’impresa deve perdere la classica impostazione del tipo “aspetto un appalto e vedo cosa ne viene fuori”. Deve andare oltre questo atteggiamento passivo e progettare nuovi bisogni. La creazione del bisogno è un passaggio nodale perché concilia tre elementi fondamentali che ormai sembrano perduti: la politica con la sua capacità di determinare quali obiettivi di massima vanno conseguiti, l’impresa che deve ragionare in termini di progettazione di se stessa e del proprio futuro, e il cittadino che finalmente diventa un interlocutore capace di esprimere esigenze, non solo di protestare per l’assenza di certi elementi.
Qualcuno obietterà che comunque, al di là dei problemi culturali, mancano le risorse economiche per realizzare dei nuovi progetti.
Nelle microcomunità le risorse ci sono e sono pronte per essere utilizzate. Non c’è alcun bisogno di attendere che arrivino dall’amministrazione centrale. Un esempio: Romeo Gestioni ha progettato e proposto al Comune di Napoli un progetto da realizzare in un’area degradata di Napoli dal forte valore simbolico come quella di fronte al porto, che abbiamo denominato Insula. Si tratta di un prototipo di gestione integrata economicamente autosostenibile, studiato per dare agli abitanti di questa zona servizi di altissimo livello senza innalzare i tributi. E, sempre per rimanere nell’esempio e spiegare il valore di questi prototipi, abbiamo visto – creando il modello - che al Comune di Napoli in quest’area risultavano 12 passi carrai. Noi ne abbiamo contati 87. Quei 75 passi carrai di differenza rappresentano tutti un’entrata persa per il Comune e la stessa situazione l’abbiamo riscontrata per altre fonti di tributo. Creando il modello Insula abbiamo stimato che questo territorio può generare circa 3 milioni di euro all’anno in tributi. E però, per lo stesso territorio, abbiamo calcolato di poter offrire servizi di altissima qualità e un programma di manutenzione adeguato con una spesa di circa 1,2 milioni all’anno. In questa cifra è compreso anche il margine operativo a favore dell’impresa che cogestisce quella parte di territorio assieme ai cittadini e al Comune. Guardando questi numeri è facile capire quanto il Comune potrebbe risparmiare, avendo allo stesso tempo a disposizione nuovi fondi da investire su altre aree degradate della città. Il tutto avviando anche un percorso di sviluppo per un settore dalle grandi potenzialità: quello della lotta strutturale all’”elusione fiscale”.