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Il capoluogo lagunare possiede uno dei patrimoni artistici più grandi d’Italia e del mondo. Una ricchezza da preservare e gestire al meglio. Per questo è sorta un’associazione che riunisce i dodici musei della città ed è organizzata secondo i principi del Facility, come ci spiega il direttore, Giandomenico Romanelli: “Questo modello ci ha permesso di creare una struttura agile e flessibile, capace di coinvolgere e incentivare i fornitori e così ottimizzare i servizi. A tutto vantaggio degli utenti”
Di Mariantonietta Lisena
Da alcuni anni si discute su come portare il Facility Management in alcune realtà alternative ai classici edifici ad uso ufficio. Guardandosi bene attorno però si possono scoprire alcune cose sorprendenti e capaci di dare un nuovo significato al dibattito in corso: come ad esempio che in alcuni di questi settori il FM non solo esiste già da anni, ma viene applicato seguendo modelli per molti versi rivoluzionari e ben più innovativi di quelli comunemente applicati nelle aziende. È il caso della Fondazione Musei Civici Venezia, il cui modello di gestione dei servizi è una delle prove più concrete e lampanti di come il Facility Management non sia una voce di costo, ma una disciplina in grado di creare valore e ricchezza per quelle organizzazioni che ne sanno sfruttare a pieno le potenzialità. Vediamo come questo sia possibile grazie alle parole del Direttore della Fondazione Giandomenico Romanelli.
Ci parli dell’ente da lei diretto.
La Fondazione è stata costituita per affidare dodici musei veneziani, e in generale uno dei più grandi patrimoni storico-artistici presenti in Italia, ad una struttura agile, dotata di autonomia decisionale, capacità di programmazione a lungo termine e improntata ad una conduzione di tipo aziendale. Fino all’anno scorso questa struttura era di fatto un ufficio del Comune di Venezia, ma è stato poi deciso di renderla autonoma e dare così vita alla Fondazione.
Perché si è giunti a questa decisione?
C’erano i vantaggi portati dal poter contare su di una struttura più leggera e quindi dotata di maggiore flessibilità e libertà di movimento, ma non solo. Il complesso dei musei gestiti dalla Fondazione ha delle entrate derivanti dalla vendita dei biglietti che vanno a coprire completamente le spese necessarie per renderli operativi; si tratta di una situazione per molti versi unica nel contesto museale italiano ed abbastanza rara anche a livello internazionale. La circostanza è ancora più sorprendente se si considera che la Fondazione ha un bilancio in attivo pur gestendo anche cinque biblioteche specialistiche che producono costi, ma non creano alcun reddito. La nostra quindi è una realtà che ha raggiunto da anni la piena sostenibilità economica, tanto che spesso si è trovata al paradosso di dover fornire parte dei suoi utili per finanziare le attività comunali. Si è perciò deciso di renderla autonoma, in pieno accordo con l’Amministrazione veneziana.
Come si è venuta a creare questa situazione ideale?
Da una concomitanza di fattori che si sono uniti per creare una sorta di tempesta perfetta. Questo è un elemento importante da tenere a mente quando ci si domanda se il modello di gestione adottato dalla Fondazione possa essere effettivamente applicato così com’è ad altre realtà museali: la situazione che si è venuta a creare a Venezia è ben diversa da quella della maggioranza delle altre città d’arte. È giusto comunque notare come non sia stato tutto frutto del caso o di circostanze esterne, ma anche di precise scelte strategiche. Anni or sono, ad esempio, quando si è verificata l’occorrenza di non veder più garantito il turnover del personale da parte del Comune, piuttosto che protestare abbiamo preferito vedere le opportunità che tale circostanza poteva recare; abbiamo così deciso di lasciare che il mancato ricambio portasse alla completa mancanza di risorse umane e siamo ricorsi all’esternalizzazione. Questa, in sé, non è una scelta affatto rivoluzionaria, sono molti i musei che utilizzano servizi forniti da società esterne. È stato il tipo di accordo concluso con i fornitori ad essere particolare.
In che senso?
Abbiamo voluto che la società vincitrice dell’appalto di servizi venisse retribuita non con una quota fissa, ma esclusivamente con una percentuale sulle entrate relative alla vendita dei biglietti. L’intenzione era quella di elevare il rapporto con il fornitore ad un livello di vera e propria partnership. La nostra impostazione ha trasformato profondamente gli obiettivi di chi si aggiudicava la commessa: non si trattava più di fornire un certo numero di servizi per incassare una cifra predeterminata, ma di garantire un funzionamento perfetto degli stessi e impegnarsi al massimo per far sì che i nostri musei producessero maggiori entrate. Tutto ciò accadeva dieci anni fa.
Come si è evoluto questo modello da allora?
Prima di tutto questo lasso di tempo ci è stato utile per condurre un’intensa attività di ottimizzazione dei servizi: alcuni sono stati eliminati, altri unificati e in generale è stato svolto un lavoro certosino improntato a ridurre notevolmente le spese e ad aumentare l’efficienza di tutto l’apparato. Una decade di esperienza ci ha portato poi ad applicare alcune modifiche anche agli appalti e la più importante riguarda la suddivisione dei servizi concessi in outsourcing. Questi prima venivano esternalizzati in blocco mentre ora, anche per aumentare la specializzazione, sono stati organizzati in tre aree separate: perciò oggi vi è un appalto per la fornitura della strumentazione informatico-logistica e del coordinamento necessari al buon esito di quelli che potremmo definire servizi di base (bigliettazione, guardiania, guardaroba, ecc.), un appalto per la gestione del bookshop e uno per ciò che riguarda la ristorazione.
Quali caratteristiche hanno i contratti per questi due ultimi servizi?
I fornitori ci pagano una quota prefissata; una volta che grazie agli introiti generati dal book shop e dalla ristorazione sono riusciti a rientrare della cifra che hanno corrisposto alla Fondazione, quest’ultima ha diritto ad una percentuale sugli ulteriori utili prodotti da questi due servizi.
Il tipo di contratto per il personale è rimasto invariato?
Sostanzialmente sì: il fornitore non riceve alcun compenso prefissato, ma ha diritto al 52% del fatturato generato dalla vendita dei biglietti. Si potrebbe obiettare che in questo tipo di accordo l’appaltatore non ha a sua disposizione delle leve per vedere incrementare le entrate dei musei e quindi le proprie. Tutt’altro. In primo luogo può aumentare al massimo la qualità del servizio e rendere la visita al museo un’esperienza davvero unica per il visitatore. Inoltre, il fornitore è incoraggiato a fare delle proposte su iniziative di ordine culturale che possono aumentare il numero di visitatori. Per questo ho parlato dell’intenzione di elevare il rapporto con il fornitore: a questo infatti è richiesto non solo di erogare un servizio, ma di comprendere a fondo la natura della nostra attività principale e di farla propria, contribuendo in maniera attiva e con proposte concrete al successo del nostro core business. Abbiamo avuto la fortuna di trovare un interlocutore interessato a questo tipo di collaborazione e che si è dimostrato all’altezza di quanto da noi richiesto. Comprendiamo bene che si tratta di un tipo di accordo all’apparenza rischioso: qualche anno fa abbiamo attraversato un momento di crisi, con un calo del 30% delle presenze, e il nostro fornitore di allora ne ha subito anch’esso gli effetti; i grandi utili che aveva registrato fino ad allora grazie al nostro accordo gli hanno però consentito di risentire solo marginalmente di questo momento negativo. Questo è potuto avvenire perché il nostro è un modello molto elastico, capace non solo di minimizzare le conseguenze di un frangente di crisi sia per noi che per i nostri fornitori, ma anche di portare a entrambe le parti delle opportunità di utile ben maggiori rispetto ai contratti tradizionali. A patto, chiaramente, che il fornitore sia disposto a mettersi in gioco e a partecipare in maniera attiva alla realizzazione dei nostri obiettivi.
Quanti dipendenti, tra interni ed esterni, lavorano nell’ambito della Fondazione e delle strutture da essa gestite?
Vi sono circa 300 risorse presenti sul sito fornite da chi si è aggiudicato l’appalto, a cui vanno aggiunte le 30 che prestano servizio nell’ambito dei servizi di bookshop e ristorazione. I dipendenti diretti della Fondazione sono circa 70, divisi quasi equamente in due aree: la prima riguarda le attività più legate alla dimensione culturale, come ad esempio la conservazione delle opere e la gestione del patrimonio artistico; una seconda area comprende invece l’amministrazione e la gestione degli appalti.
Viene richiesta una formazione particolare al personale esterno?
I musei sono ambienti particolari e come tali vanno trattati Per questo motivo chiediamo ai nostri fornitori un’attività di formazione continua dei propri dipendenti e applichiamo controlli strettissimi per assicurarci che sia efficace, anche perché il personale è a diretto contatto con il pubblico e quindi in una posizione molto delicata. Lo stesso vale per i servizi aggiuntivi come il bookshop o la ristorazione, perché tutto deve contribuire al benessere del visitatore. A quest’ultimo, come è giusto che sia, poco importa che il personale o la caffetteria non siano gestiti direttamente dalla Fondazione ma da ditte esterne; per lui tutto ciò che è dentro al museo fa parte di un’esperienza unica in base alla quale deciderà se tornare e se consigliare ad altre persone di fare altrettanto. Ecco perché ogni servizio deve essere svolto in maniera più che impeccabile: per costruire un rapporto di fiducia con il visitatore.
A suo giudizio il modello di gestione applicato dalla Fondazione ha ancora margini di miglioramento?
Certo, ed enormi. Non siamo ancora al livello sperato e forse solo tra molti anni riusciremo a raggiungerlo. Negli ultimi trent’anni l’ambito dei musei è sempre stato caratterizzato da evoluzione e cambiamento; per continuare a crescere perciò è importante capire quale sia la situazione attuale e interpretarla al meglio: oggi il museo è una realtà da condurre con criteri e strumenti aziendali; ne deriva che per farlo funzionare al meglio è necessario ragionare prima da gestore che da esperto d’arte. Purtroppo questa è una lezione che in Italia facciamo ancora fatica ad apprendere.